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martedì 16 aprile 2013

L'oggetto d'arte: una proiezione, un portavoce, una mano tesa

Cultura. Il critico d'arte Marco Caccavo, venerdì' alla Fondation Carzou, ha immerso il suo pubblico nel "processo di creazione artistica".

L'oggetto d'arte: una proiezione, un portavoce, una mano tesa

"Il processo di creazione artistica" é il tema di una conferenza tenuta venerdì' alla Fondazione Carzou dal critico d'arte Marco Caccavo, insegnante presso la scuola internazionale.
Immersione proposta alla vigilia di un concerto performance nel quale si incroceranno varie arti, organizzato durante una residenza di 5 giorni della scultrice Thémo Bennacer, l'autore James Fontaine, la musicista Nell Sin.

"Prendere il proprio posto in questo flusso vitale"
"Nessuna cosa é stata mai scritta o dipinta, modellata, costruita, inventata se non per uscire dall'inferno", scriveva Antonin Arthaud nel suo "Van Gogh o il suicidio della società".
"Perché l'uomo é posseduto da questa volontà di fare e di creazione che non gli sono necessarie, mentre potrebbe condurre la sua vita non creando delle cose "inutili"...? Prima domanda che pone il conferenziere.
All'inizio del processo, lo shock della venuta al mondo, colloca, secondo Marco Caccavo, questa "specie di apocalisse" all" "uscita dal sogno" verso una "rinascita" che animerà tutta la vita questa "volontà di prendere il proprio posto in questo flusso vitale" in perpetuo movimento, di partecipare al reale diventando attore della "modificazione del mondo".

"Io devo essere la mia opera"
L'arte "é un anti destino", diceva Malraux, visione condivisa dal conferenziere, quella del creatore che rivaleggia con dio, scongiurando la morte, lasciando "una traccia che gli sopravviva, che sia testimone del suo passaggio", caricando "l'oggetto portavoce" della sua impronta.
"Io devo essere la mia opera".
Nel Medioevo, la radice latina della parola "artista", "ars", significava "un buon artigiano", un "artifex", un fare con tecnica, "una forma superiore del fare".
Poche sfumature allora differenziavano l'artista dall'artigiano, entrambi padroneggiavano il saper fare.
La distinzione significativa sopraggiunge nel Rinascimento
"L'artigiano d'ora in poi sarà colui che fa qualcosa di bello e di utile, l'artista colui che fa il bello inutile".

"Un grido d'umanità"
Il conferenziere non attribuisce un fine ben definito all'oggetto d'arte. La sua aspirazione non é quella di piacere, di significare come le statuette primitive, un'adorazione a un dio, a un capo, la sua ricerca supera le frontiere dell'estetismo, "ci obbliga a pensare, riflettere, dà delle piste d'interpretazione, delle sensazioni, delle impressioni alle quali lavorare con noi stessi".
Si compra un oggetto artigianale per le sue qualità utilitarie, ornamentali. Acquistare una creazione artistica é un rispondere a "un grido di umanità al quale non si sa rinunciare".

"Una mano tesa"
Marco Caccavo cita Michelangelo che parlava cosi' della scultura: "Vedi un blocco, pensa all'immagine: l'immagine é li' dentro, é sufficiente solo liberarla". Quando crea, "é il suo bambino-proiezione che nasce dal blocco". Se l'arte é la creazione-specchio, é anche e soprattutto "la forma primordiale della comunicazione umana".
L'artista "crea per gli altri, mette tutto il suo essere in piena luce, é nudo, animato da una volontà di condivisione, da una volontà di arrivare a un cammino comune con l'altro. L'arte e l'artista, attraverso questo mezzo, sono come una mano tesa che ci dice semplicemente: "Seguimi, dimmi, comprendimi, toccami".

Nadia Ventre
La Marseillaise
Traduzione in italiano dell'articolo apparso su "La Marseillaise", Domenica 17 Marzo 2013






 

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